I nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti colpiscono duramente l’automotive europeo, già sotto pressione per la transizione energetica. Lo sottolinea Massimo Artusi, presidente di Federauto, che invita l’Europa a rispondere con pragmatismo, evitando misure ideologiche.
«I dazi di Donald Trump – afferma Artusi – colpiscono tutti i Paesi che esportano negli USA, ma l’Europa ne risente in modo particolare. Siamo contrari alle guerre commerciali perché, in un mercato globale, portano solo danni: bloccano la produzione, creano inflazione e mettono a rischio posti di lavoro».
Secondo Artusi, il danno non riguarda solo le auto europee esportate, ma anche quelle prodotte in loco da case europee o le vetture americane con componenti UE. Ci saranno ripercussioni anche sulla logistica, che sarà più lenta e costosa. Un effetto a catena che, dice il presidente, «è difficile da misurare oggi, ma i mercati hanno già reagito male».
Artusi chiede all’Unione Europea una risposta forte e condivisa: «Serve una mediazione, magari un accordo di libero scambio o almeno un taglio dei dazi. E bisogna rivedere i target e gli standard imposti dal Green Deal, perché servono regole che tutelino anche la competitività delle imprese e mettano il consumatore al centro».
Alle sue parole si aggiungono quelle del vicepresidente Plinio Vanini, che entra nel dettaglio: «Per ogni 1000 auto in meno vendute, si perde un posto di lavoro. Se il calo sarà di 50 mila veicoli, potremmo perdere 3 mila occupati solo tra i concessionari».
Vanini evidenzia le difficoltà di un settore già fragile: tra l’introduzione del modello di agenzia, le norme sulla transizione energetica e la mole di regolamentazioni su sicurezza, emissioni e omologazioni, il comparto è sotto forte stress.
«Serve chiarezza e stabilità normativa», conclude Vanini, «ma anche incentivi al mercato interno. Altrimenti si rischia una contrazione delle vendite, l’invecchiamento del parco auto, più inquinamento e meno sicurezza per tutti».